19 Ottobre 2024

«Uniti nel dono». Con il supporto dei fondi dell’8×1000 il Centro d’ascolto della Caritas di Giaveno

La testimonianza della coordinatrice Adriana Anceschi

L’aiuto verso il prossimo parte dall’accoglienza e dall’ascolto. Lo sanno bene i volontari della Caritas parrocchiale di Giaveno, in Val Sangone, in seno alla quale, nel maggio 2016, è stato aperto uno dei Centri di Ascolto nel territorio della diocesi torinese.

Il CdA è un’antenna, un punto di osservazione privilegiato, un “bacino di raccolta dati” per la conoscenza delle situazioni di emarginazione e sofferenza; in Italia sono oltre tremila i CdA Caritas.

Di fatto il Centro di Ascolto rappresenta il primo passo in un cammino di accoglienza e aiuto concreto, come spiega la coordinatrice delle attività della Caritas parrocchiale di Giaveno, Adriana Anceschi. È il momento in cui per la prima volta si parla con chi è in difficoltà, si intercettano esigenze e bisogni, e si individuano le modalità di aiuto.

Tra i volontari c’è chi è adibito a compilare una scheda di chiunque bussi alla porta (o a quella della parrocchia o ancora ai servizi sociali) e la inserisce nel sistema di raccolta dei dati di ascolto “Matriosca”. Lo spazio fisico del centro si trova nei locali parrocchiali in via Ospedale 10, ogni sabato dalle 9.30 alle 11.30, “ma l’ascolto non termina certo in quel momento. Lo si fa ogni volta che diamo un pacco alimentare o legna per scaldarsi o ci danno una bolletta da pagare: la semplice consegna diventa occasione di confidenza e di racconto” riporta Anceschi.

Dall’ascolto, quindi, nasce l’aiuto concreto verso chi è in difficoltà che si concretizza nella distribuzione ogni quindici giorni del pacco alimentare, oppure di legna o pellet all’approssimarsi della stagione fredda, ma anche di mobili; poi nel pagamento di bollette e nella distribuzione di vestiti (ogni venerdì dalle 9 alle 11).

Gli aiuti per fare tutto questo arrivano dai fondi dell’Otto per Mille, dalle offerte raccolte in chiesa durante i funerali e le Messe di trigesima come stabilito dal parroco, e da donazioni di privati cittadini; per quanto riguarda il cibo, dal Banco Alimentare provengono i generi alimentari di prima necessità a lunga conservazione. Il fresco, frutta e verdura, arriva con maggiore frequenza grazie a un supermercato della provincia: “Non sappiamo con precisione quando arriva il carico ma siamo grati per queste donazioni che peraltro ci garantiscono una certa continuità. Anche le iniziative di spesa solidale sul territorio sono importanti”.

La situazione, in questi ultimi anni, purtroppo, è peggiorata e a dirlo sono i numeri. “La pandemia ha inferto un colpo durissimo a famiglie che già vivevano al limite. La soppressione del reddito di cittadinanza per molti è stato poi il colpo di grazia. I nuclei seguiti nel 2016 erano una ventina, oggi sono oltre settanta. Più della metà sono italiani, tendenzialmente persone sole e avanti con l’età. I nuclei più numerosi sono composti soprattutto da stranieri: sei sono formati da sei persone. Una di questa è una famiglia rom: mamma, papà e quattro figli che hanno deciso di abbandonare la vita nomade e di provare a integrarsi nella nostra comunità. Non è stato facile, ma grazie alla scuola, due all’Infanzia e due alla Primaria, i bimbi sono stati i primi a inserirsi con successo nel nostro tessuto sociale. Ora, grazie alla generosità di una persona del paese, abbiamo trovato per loro, che vivevano in un camper, una casa in una borgata in cui oggi vivono. La donazione che ci è stata fatta ci ha permesso di comprare la casa, sostituire gli infissi e pagare l’allacciamento per l’elettricità. Grazie ad un altro benefattore il papà ha ricevuto un’auto di seconda mano e ora deve solo rendere stabile il lavoro. La mamma ha voluto con forza che i figli studiassero ed è un ottimo segnale di cambiamento. Insomma, tutto sta andando per il meglio. Se si sistemano anche sul fronte del lavoro, sarà per noi motivo di grande gioia: riuscire a fare in modo, con una rete di aiuti, che ce la facciano con le proprie forze. Questo è l’obiettivo ed è anche per questo da qualche tempo a chi paghiamo le bollette chiediamo un piccolo contributo, simbolico, proprio per non diventare un ente di assistenza”.

Non tutti ci riescono: “Qualcuno viene seguito dal 2016, ma sono persone sole che faticano a reinserirsi nel mondo del lavoro. E non è raro che ci chiediamo anche questo, un posto di lavoro, ma è raro riuscirci, e lo stesso vale per la casa per chi rischia lo sfratto”.

I volontari impegnati, ognuno con il proprio ruolo, sono una ventina di cui molte donne, “per questo avremmo bisogno di qualche uomo in più, in particolare quando c’è da spostare scatoloni pieni e pesanti. Avevamo infatti accolto favorevolmente i due uomini inviati dal tribunale per la cosiddetta messa in prova” continua Adriana Anceschi che fa un bilancio personale di questi otto anni di apertura del centro Caritas: “Io sono cresciuta molto e come me tutto il gruppo che è molto unito e nel quale si è instaurato un bel clima. Le persone che aiutiamo mi hanno in qualche modo educato: ho ricevuto molto da ognuno di loro, e ho toccato con mano l’intervento prezioso della Provvidenza. Spesso chiedo se posso pregare per loro. Non mi hanno mai detto di no e, anzi, la risposta è: allora io prego per te”.

Anita Zolfini su «La Valsusa» del 7 novembre 2024

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