La Parola di Dio negli insegnamenti del Vescovo. A sette anni dalla Lettera Pastorale “La Parola di Dio nostro nutrimento quotidiano” [testo integrale]

Sono passati sette anni da quando S.E. Mons. Alfonso Badini Confalonieri faceva dono alla Diocesi di Susa di questa Lettera Pastorale, ora disponibile online. Un’occasione per riflettere sul nostro rapporto con la Bibbia, per migliorarlo e perfezionarlo, consapevoli che «accostare e conoscere i testi biblici, specie il Nuovo Testamento, è indispensabile alla vita del credente». Accogliamo quindi l’invito del Vescovo a «prepararsi ad amministrare e ricevere la Parola di Dio come ci si prepara ad amministrare e ricevere l’Eucaristia. Si deve entrare in un clima di fede e di timore Dio, pregando e adorando il mistero di Dio che si nasconde nella Parola».

 

La Parola di Dio
nostro nutrimento quotidiano

Lettera Pastorale ai fedeli della Diocesi – Anno 2010

 

SOMMARIO

  1. La Parola di Dio nostro nutrimento quotidiano
  2. Concezione della storia presso gli Ebrei
  3. La Rivelazione
  4. Generi letterari
  5. Parola Sacramento
  6. La Parola di Dio e il sacerdote
  7. La forza dell’evangelizzatore viene dallo Spirito

 

1. LA PAROLA DI DIO NOSTRO NUTRIMENTO QUOTIDIANO

Cari fratelli in Gesù Cristo,

la nostra comunità diocesana dedica l’anno trascorso e quest’anno pastorale alla crescita nella conoscenza e nell’amore per la Parola di Dio. Sento la necessità di rivolgermi a voi con questa lettera per meditare insieme sull’infinito dono del Signore, che si degna di dialogare con noi. La parola permette di aprire il proprio cuore a un’altra persona e di svelare i propri sentimenti, i propri pensieri e la propria vita. Così ha fatto Dio amando la sua creatura, da Lui fatta a immagine e somiglianza di se stesso.

«Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1-2).

Gli uomini per esprimersi hanno a disposizione il linguaggio parlato, ma possono comunicare anche con la parola scritta, con un gesto, con un atto. Dio ha una fantasia infinita nel dialogare con la sua creatura e nel trasmettere alla creatura il suo amore e la sua vita. Lo fa sempre per mezzo del Figlio, la seconda Persona della Santissima Trinità, che è la sua Parola.

I diversi modi con cui si manifesta la Parola di Dio comprendono il fare di Dio, che si palesa in modo meraviglioso ai nostri occhi nel mettere a nostra disposizione l’infinita bellezza dell’universo e nel mantenerlo in vita, e il dire di Dio per mezzo dei profeti e del suo Figlio incarnato, Gesù di Nazaret.

Troviamo una manifestazione d’amore ancora maggiore nella perfezione e dignità con cui ci ha fatti, in modo che potessimo anche noi esprimere l’amore a somiglianza dell’amore di Dio stesso. Lo Spirito “soffiato” in noi per darci vita ha comunicato una scintilla della vita divina, vita di amore infinito.

Il supremo atto d’amore ci è stato da Lui espresso con l’incarnazione di Gesù, suo unigenito, che ha rivelato la pienezza della vita d’amore della Santissima Trinità.

Ma poiché Dio ha dato agli uomini la possibilità di comunicare anche con la parola vocale, Egli stesso ha parlato servendosi della mediazione di esseri umani. I profeti, ispirati dallo Spirito Santo, parlarono esprimendo, con le proprie limitate capacità, caratteristiche e conoscenze storico-temporali, i contenuti di ciò che Dio voleva dirci.

Anche la storia dell’umanità è strumento di cui Dio si serve per comunicare. La vita stessa di un popolo, il popolo eletto, la cui storia è espressione dell’amore con cui Dio accompagna i nostri passi, diventa messaggio di salvezza ed espressione della volontà del Creatore sulla sua creatura.

Dio continua a parlare con la vita di Gesù e oggi con la vita della Chiesa. L’incarnazione di Dio-Parola si è realizzata, nel disegno provvidente di Dio, per dare in Gesù un volto a Colui che ci parla.

L’espressività del volto aggiunge molto a quello che si comunica: così ha fatto Dio inviando il suo Figlio a condividere la nostra storia. Vedendo Gesù e la sua vita noi vediamo il volto del Padre. «Chi vede me, vede colui che mi ha mandato» (Gv 12,45).

L’uomo ha sempre cercato di perpetuare la propria parola scrivendola e, oggi, registrandola. Lo Spirito Santo ha accompagnato la rivelazione di Dio in modo che la Sua comunicazione venisse scritta e potesse essere trasmessa più facilmente attraverso i tempi. È giunto a noi non solo un libro ma una serie numerosa di libri, possiamo dire un’intera biblioteca (“biblia”), chiamati “Libri Sacri” o “Sacra Scrittura”, scritti da uomini, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Possiamo quindi affermare che la Bibbia è scritta da Dio e dagli uomini: da Dio nel suo contenuto, dagli uomini nella forma. La Bibbia è stata scritta da persone che si sono servite dei loro talenti: mente, bocca, intelligenza e conoscenze. Hanno messo a disposizione le loro capacità, ma il contenuto è venuto dalla mente e dalla volontà di Dio, per suo amore e per la nostra salvezza.

«Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò» (Dt 18,18).

I profeti erano consapevoli di essere “ispirati da Dio” nei contenuti, pur dovendo parlare con la limitatezza della loro personalità e delle loro doti. «Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2 Tm 3,16-17).

Ogni cristiano è uomo di Dio e dev’essere ben preparato. Per questo Dio parla oggi personalmente a ogni persona che legge la Scrittura e che si apre all’ascolto. L’applicazione della Parola di Dio alla nostra vita concreta è opera che lo Spirito fa tramite l’insegnamento, la guida della Chiesa e la nostra umile disponibilità a entrare in dialogo con Dio stesso.

«Figlio dell’uomo, tutte le parole che ti dico accoglile nel cuore e ascoltale con gli orecchi» (Ez 3,10). Non serve a nulla ascoltare o leggere se non le si accoglie nel proprio cuore.

Molti sono i simboli con cui la Parola di Dio si autodefinisce nella Bibbia: una lampada su un sentiero buio, la pioggia che scende dal cielo su un terreno arido, una spada che penetra nella carne, una semente che il seminatore sparge con generosità.

Nel salmo 119 la vita dell’uomo è come un pellegrinare su un sentiero avvolto nelle tenebre, ma lungo il cammino una luce rifulge: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). Il libro di Isaia porta l’esempio dei deserti del Medio Oriente: sono terra arida e screpolata, ma una volta all’anno le piogge li fanno fiorire. «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11).

Nella lettera agli Ebrei, scritta a un popolo che si lasciava tentare dallo scoraggiamento e dalla nostalgia dei riti dell’antico Tempio di Gerusalemme, l’autore richiama all’ascolto della Parola che può sconvolgere benignamente: «Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). La Parola viva di Dio penetra nella mente e nel cuore come un seme nella terra (cfr Lc 8,11) e porta frutto: nuovi desideri, nuove abitudini, nuovi propositi, nuovo carattere. La Bibbia trasforma la persona. Supplichiamo Dio che la sua Parola si trasformi per noi in “luce”, “acqua”, “spada e “seme” ma, affinché questo avvenga, dobbiamo impegnarci ad applicare il famoso detto: «Non basta possedere la Bibbia, bisogna anche leggerla; non basta leggere la Bibbia, bisogna anche comprenderla e meditarla; non basta comprenderla e meditarla, bisogna anche viverla». Noi possiamo comprendere la Parola di Dio perché è una parola incarnata che si intreccia con una storia umana e in uno spazio preciso, è come un monte il cui suolo e sottosuolo sono ricchissimi di materiali preziosi, ogni lato del monte ha sfaccettature diverse, l’interno e l’esterno possiedono tesori impensabili, ma richiedono fatica e sacrificio per salirne le pendici e scavarne le gallerie, per ricercarne e raggiungere le miniere da cui estrarre “cose nuove e cose antiche”. Sfogliando le pagine della Bibbia si incontrano rumori di guerre più che di pace in silenziosi eremi, facilmente vediamo una terra segnata da sangue e da ingiustizie piuttosto che un mondo che vive nella perfezione, nella pace e nell’amore.

Le preghiere dei salmi ripropongono il grido dell’uomo che si lamenta con Dio: perché Signore, «fino a quando starai a guardare?» (Sal 35,17), piuttosto che la serena contemplazione della natura, perché la Bibbia è l’intreccio tra Dio e la nostra storia, tra Colui che non ci abbandona e le difficoltà dell’uomo nel ritrovare la verità su di sé, sulla società e sul fine della vita.

La Pasqua di Cristo nasce dalla crocifissione; la vita sboccia dalla morte; la salvezza richiede la fede. La Bibbia non ci parla di un Dio lontano, che nel suo “Olimpo” non si occupa dell’umanità, ma di un Dio incarnato che condivide la storia umana, per caricarsene le miserie e le limitatezze, salvando così chi umilmente lo accoglie, lo ascolta, lo ama. «La sua casa siamo noi, a condizione che conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo» (Rm 3,6).

La grande differenza dei Libri Sacri rispetto ai libri comuni sta nel fatto che, per opera dello Spirito, Dio parla personalmente, e quindi in modo nuovo, con me che oggi leggo quel brano della Scrittura. Inoltre, quello che Dio mi dice si realizza oggi per me. È come se Dio riscrivesse quella frase per me in questo momento, mentre la rileggo, e la Parola letta non lascia senza frutto se la ricevo con cuore aperto.

 

2. CONCEZIONE DELLA STORIA PRESSO GLI EBREI

I popoli dell’antichità ritenevano che la loro storia fosse un ripetersi ciclico dei medesimi avvenimenti, al pari del succedersi delle stagioni e dei frutti annuali della vita agricola o della pastorizia. Così si susseguivano i cicli della prosperità e della disgrazia, che richiamavano l’abbondanza dell’estate rispetto alla desolazione invernale. Questi cicli di abbondanza e di carestia rispecchiavano la storia primordiale e mitica degli dei, che sovente erano considerati le stesse forze della natura divinizzate.

Peraltro questi dei erano lontani dalla vita del mondo e non se ne interessavano.

Anche gli Ebrei solennizzavano il ritorno delle stagioni, ma le feste avevano una caratteristica ben diversa: erano celebrazioni di carattere nazionale in cui si rievocava quanto Dio aveva fatto a favore del suo popolo. La storia umana è agli occhi degli Ebrei il campo degli interventi divini, la dimostrazione della benevolenza di Dio.

La storia non è un ripetersi di quanto già accaduto, ma tende a un evento ultimo, finale, che rappresenta qualcosa di nuovo e definitivo. Quest’obiettivo non è considerato fuori dalla storia ma ne è la conclusione, la meta ultima per tutta l’umanità.

Gli ebrei riflettevano sull’inizio della storia umana, contrassegnata da un avvenimento che ne aveva sconvolto le sue origini: il peccato dei progenitori era un’oscura rivolta contro Dio che aveva minato l’esistenza gioiosa della stessa umanità. Da quell’avvenimento la storia era tesa verso la restaurazione e la reintegrazione di quanto era stato perduto, verso la sua armonia primitiva, verso la salvezza.

 

3. LA RIVELAZIONE

La Costituzione “Dei Verbum” sulla Divina Rivelazione, promulgata dal Concilio Vaticano II, al capitolo I, numero 2 dice: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr Ef 2,18; 2 Pt 1,4)».

Dio si rivela e si manifesta poiché, nel suo amore per le persone, si fa prossimo a ogni creatura partecipandone la sua vita di puro amore. Lo fa per mezzo del suo Figlio, Parola eterna del Padre, artefice con tutta la Trinità della creazione stessa. «In principio… Dio disse: Sia la luce! E la luce fu…» (Gen 1,1.3); «In principio era il Verbo… e il Verbo era Dio… Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,1.3).

Tutto il creato porta l’impronta di Dio ed è come un’immensa pagina in cui si può leggere un messaggio del Creatore. L’uomo e la donna, creati ad «immagine e somiglianza di Dio» (Gen 1,27), possono entrare in dialogo con il loro Creatore o possono allontanarsi da Lui con il peccato. «Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa…» (Es 3,7-8).

La presenza divina nelle vicende degli uomini li accompagna e dona la forza di partecipare a un disegno meraviglioso di salvezza. L’incarnazione della Parola di Dio in Gesù è il centro della fede cristiana e il culmine della Rivelazione di Dio, creatrice e salvatrice. Ora la Parola, con la costante presenza dello Spirito Santo, vuole continuare a incarnarsi in ogni uomo, per ricapitolare in Cristo tutta l’opera di salvezza, Tutti gli uomini sono chiamati a tornare a Cristo, a vivere per Cristo, con Cristo tramite i sacramenti e in Cristo partecipi del corpo mistico.

Il Concilio Vaticano II raccoglie questa antica tradizione secondo la quale «il corpo del Figlio è la Scrittura a noi trasmessa» — come afferma sant’Ambrogio (In Lucam VI, 33) — e dichiara: «Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze della natura umana, si fece simile agli uomini» (Dei Verbum, 13).

Il linguaggio umano permette agli uomini di captare la Parola di Dio, anche se è inadeguato a esprimerla nella sua completezza e infinita sapienza. Inoltre, essendo linguaggio umano, rispecchia il modo di esprimersi del parlare del tempo, riporta gli avvenimenti successi quando viveva l’agiografo e ne palesa la sua personalità. Molto diverse erano la mentalità e la personalità degli antichi Greci, rispetto a quelle dei Romani o degli ebrei, ancora più diversi sono i linguaggi nei confronti del nostro modo di esprimere oggi un concetto o di dare significato a un’azione.

 

4. GENERI LETTERARI

Nei confronti della Bibbia si parla di “generi letterari” e si intendono modi differenti di espressione a seconda degli argomenti contenuti e del modo con cui lo scrittore ritiene più opportuno far comprendere quanto vuole comunicare. Diverso è il linguaggio per un testo giuridico, rispetto a quello di un inno di lode, o se si descrive un evento storico, se si scrive una lettera, o se si narra una parabola. In modo differente si proclama un oracolo sacro o profetico, si ammonisce o si esorta a scegliere un comportamento. Si può scegliere una parabola per esprimere un concetto di vita morale, o un esempio per spiegare un pensiero di non facile comprensione.

Il termine “esegesi”, che deriva dalla lingua greca e significa “tirare fuori”, è il lavoro con cui si trova il senso e il significato che l’autore ha voluto dare al suo parlare. «Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani» (Devi Verbum, 12).

Non tutti hanno la possibilità di fare l’esegesi dei testi biblici, ma nella Chiesa ci sono studiosi che si dedicano alla ricerca esegetica per mettere a disposizione dei fedeli i risultati ottenuti.

Il primo grande studioso della Bibbia su san Girolamo, che ne era soprattutto un appassionato. Costui sottolineava l’importanza e la gioia di familiarizzarsi con i testi biblici: «Non ti sembra di abitare – già qui, sulla terra – nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi, quando li si medita, quando non si conosce e non si cerca nient’altro?» (Ep. 53,10).

Dialogare con la Parola di Dio è presenza di Dio e quindi è un po’ come essere in Cielo. Accostare e conoscere i testi biblici, specie il Nuovo Testamento, è indispensabile per la vita del credente, perché «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (san Girolamo, cit. in Dei Verbum, 25). La Bibbia è lo strumento con cui Dio parla ogni giorno ai fedeli e diventa stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona. San Girolamo consigliava alla matrona Leta per l’educazione della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura […] Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera» (Ep. 107.9). Ciò potrebbe essere un impegno assunto da noi.

Solo un profondo spirito di preghiera e l’aiuto dello Spirito Santo possono introdurci alla comprensione della Bibbia: «Nell’interpretazione della Sacra Scrittura noi abbiamo sempre bisogno del soccorso dello Spirito Santo» (san Girolamo, Commento a Michea 1,1,10,15). Lo stesso santo diceva: «Ama la scienza della Scrittura, e non amerai i vizi della carne» (Ep. 125,11).

Lo Spirito Santo ci fa comprendere che abbiamo interpretato bene la Scrittura se siamo in sintonia con l’insegnamento della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura: è stata scritta sotto l’ispirazione dello Spirito Santo per il popolo di Dio e con il popolo di Dio. Solo in comunione con il Suo popolo, in concordanza con la fede della Chiesa, Dio ci fa entrare nella verità che vuole rivelare.

«Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (san Girolamo, Ep. 52,7).

In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano — san Girolamo concludeva — deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep. 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep. 16).

 

5. PAROLA SACRAMENTO

L’autore della lettera agli Ebrei scrive molto tempo dopo che Gesù aveva smesso di parlare: «Dio ci ha parlato nel Figlio ultimamente, in questi giorni» (Eb 1,2). Considera i giorni in cui vive come facenti parte dei “giorni di Gesù”. È il Gesù risorto che parla per mezzo della Chiesa.

La Rivelazione Divina è chiusa. Dio non ha più nulla da dire agli uomini. L’evento della rivelazione ha avuto il suo culmine nel mistero pasquale di Gesù, Parola di Dio incarnata. «Questi è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo» (Mc 9,7). Ma se solo la Parola ha cessato di esistere come evento vive ancora come sacramento, vive nella liturgia. Dio non dice cose nuove, ma dice sempre nuovamente ciò che  ha detto una volta in Gesù. Gesù è l’evento definitivo della parola di Dio nella storia. È la Parola “uscita dalla bocca di Dio” e ritornata al Padre dicendo: «Ho compiuto l’opera che mi hai dato da fare» (Is 55,10; Gv 17,4). Questa vicenda storica della Parola si conclude con l’ascensione al cielo di Cristo, ma lo Spirito che operava in essa dura per sempre (cfr Gv 14,16).

Le parole sacramento sono Parola di Dio donate agli uomini una volta per sempre e raccolte nella Bibbia e tornano a essere realtà attiva ogni volta che la Chiesa le proclama con autorità e lo Spirito le fa vivere nel cuore di chi le ascolta. Si legge la Parola e lo Spirito converte, trasforma in grazia di salvezza quell’animo che accoglie e recepisce con fede la Parola stessa.

«Nella Scrittura le parole che voi ascoltate sono dei segni, ma il pensiero che vi recano è la verità stessa del Figlio di Dio» (Bausset). Nell’incarnazione Dio si nasconde nell’umiltà della natura umana; nella Scrittura si nasconde nell’umiltà della parola umana.

La sacra mentalità della Parola di Dio si rivela nel fatto che a volte essa opera al di là della comprensione della persona, che può essere limitata e imperfetta: la Parola opera quasi per se stessa.

Quando Naaman il Siro ricevette dal profeta Eliseo il comando di bagnarsi sette volte nel giordano, replicò dicendo che i fiumi di Siria erano molto migliori del fiume Giordano, e aveva ragione. Eppure bagnandosi nel Giordano fu guarito, negli altri fiumi si era bagnato tante volte e non era mai guarito.

Quanti libri nel mondo sono scritti meglio e più artisticamente di alcuni libri della Bibbia, sono forse più coinvolgenti e raffinati, o più edificanti religiosamente,basti pensare all’Imitazione di Cristo, tuttavia nessuno di essi opera come il più modesto dei libri ispirati.

C’è nelle parole della Scrittura qualcosa che agisce al di là di ogni spiegazione umana. Vi è una sproporzione evidente tra il segno e la realtà da esso prodotta.

Le acque d’Israele, che sono le scritture divinamente ispirate, continuano anche oggi a guarire dalla lebbra dei peccati.

Per questo motivo Origene ci raccomanda di avere ogni attenzione e venerazione della Parola di Dio come giustamente abbiamo per l’Eucaristia, della quale nemmeno una briciola deve cadere a terra.

Bisogna prepararsi ad amministrare e ricevere la Parola di Dio come ci si prepara ad amministrare e ricevere l’Eucaristia. Si deve entrare in un clima di fede e di timore di Dio, pregando e adorando il mistero di Dio che si nasconde nella Parola.

 

6. LA PAROLA DI DIO E IL SACERDOTE

Sant’Efrem il Siro paragona la Parola di Dio a una sorgente che getta sempre acqua fresca. Ne beviamo senza la pretesa di esaurire la fonte, cioè senza voler abbracciare tutti gli aspetti e le sfaccettature della Parola. Come un assetato dobbiamo andare alla fonte, bere quello che in quel momento esce dalla fontana, andare via felici, sapendo che possiamo tornare e troveremo sempre altra acqua fresca.

San Matteo nel Vangelo ci ricorda che: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35). Già Israele si rendeva conto di dipendere in tutto dalla Parola di Dio. Mosè dice al popolo: «Questa parola è la vostra vita» (Dt 32,47).

Anche la nuova Israele, che è la Chiesa, ha nella parola di Gesù il suo fondamento: «Dio sostiene tutto con la sua parola potente» (Eb 1,3). È la «casa costruita sulla roccia» (Mt 7,25) di cui la roccia è la Parola.

Questa Parola è una potenza creatrice che agisce nella storia. È una realtà vivente come la presenta il libro degli Atti: la Parola cresceva, si diffondeva, si fortificava (cfr At 6,7; 12,24; 19,20). I cristiani sono rigenerati dalla Parola di Dio, viva ed eterna (cfr 1 Pt 1,23; Gc 1,18).

Il Concilio Vaticano II ci insegna che: «Nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale» (Dei Verbum, 21).

La Parola di Dio, diceva sant’Ambrogio , «è la sostanza vitale della nostra anima; essa la alimenta, la pasce e la governa; non c’è altra cosa che possa far vivere l’anima dell’uomo all’infuori della Parola di Dio» (Exp. Ps., 118,11,29).

Essa è sorgente di vita e fondamento della Chiesa, ma è anche portata agli uomini dalla Chiesa. Gesù la affida alle “colonne della Chiesa”, agli Apostoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). E san Paolo: «Il Vangelo da me annunciato… l’ho ricevuto da Gesù Cristo» (Gal 1,11). Gli Apostoli si riconoscono “servi della Parola” (cfr Lc 1,2; At 6,4; Rm 1,1), non solo nel farla conoscere in tutta la sua interezza, ma anche nella sua interpretazione autentica. Il Magistero vivo della Chiesa ha dallo Spirito Santo l’autorità di portare la verità della Parola in nome di Gesù Cristo.

Il Magistero non è superiore alla Parola, ne è servitore, insegnando soltanto quello che è stato trasmesso (cfr Dei Verbum, 10).

Il servizio della Parola esige degli atteggiamenti di spirito negli annunciatori per permettere agli ascoltatori di accogliere più facilmente la parola dandone fiducia.

Anzitutto ci vuole coerenza fra quanto si annuncia e la vita dell’annunciatore. Si tratta del più grande servizio alla Parola: servi della Parola significa obbedienti a essa; in caso contrario ci si comporta come gli scribi e i farisei, dei quali Gesù disse: «Quanto vi dicono, fatelo ed osservatelo, ma non fate secondo le opere, perché dicono e non fanno» (Mt 23,3).

In modo ben diverso dai farisei predicava Gesù, il quale può ben dire: «Imparate da me…» (Mt 11,29), «io vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15).

Così vive san Paolo che dirà: «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1 Cor 11,1; Fil 3,17).

L’ascoltatore, di fronte a uno che impegna la propria vita su una parola, che soffre e addirittura muore per essa, rimane scosso: egli sa che non si soffre se non per qualcosa in cui si crede veramente: La parola vissuta ha una forza persuasiva unica, insostituibile. Convince, anche perché viene presentata con una passione e una veemenza particolare. C’è un poco dell’animo dell’annunciatore.

Il sacerdote sa che la Parola è vera non per la propria vita, ma per la vita di Cristo che l’ha realizzata senza eccezioni. Infatti, come dice san Paolo: «Noi non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore» (2 Cor 4,5).

Ben sappiamo che le nostre povertà e limitatezze di vita ci separano in modo abissale dalla Parola, ma non possiamo tacerla. Dove non arriva la piena coerenza di vita subentra l’umiltà. Questo è il secondo atteggiamento di spirito necessario a chi è servitore della Parola: scomparire davanti a essa, rinunciare alla propria gloria; come Giovanni Battista, il predicatore, deve dire: «Io sono soltanto voce di uno che grida» (Gv 1,23). Egli, Gesù, deve crescere e io invece devo scomparire.

La Chiesa fa tutto questo quando, attingendo la Parola dal proprio tesoro in cui è custodita, la grida sui tetti, perché giunga agli orecchi e al cuore degli uomini ed essi credano e si salvino. Essere servo della Parola significa, per il sacerdote, non voler essere la Parola, ma solo esserne la voce; non predicare se stesso, ma Gesù Signore.

Di tutte le zavorre che non permettono alla Parola di correre veloce verso il cuore degli uomini la più perniciosa è la ricerca della gloria del predicatore. Altre realtà che frenano l’annuncio possono essere l’eccesso di risorse umane e di fiducia in esse, che tolgono il riconoscimento che la potenza viene da Dio solo. A volte sono troppe le tuniche e le bisacce che appesantiscono il messaggero (cfr Lc 10,4).

 

7. LA FORZA DELL’EVANGELIZZATORE VIENE DALLO SPIRITO

Prima di salire al cielo, ai discepoli che gli chiedevano se era venuto il tempo in cui avrebbero ricostruito il regno d’Israele, Gesù rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,7-8).

Nel linguaggio del Nuovo Testamento l’espressione rendere testimonianza equivale a evangelizzare, per cui lo Spirito Santo è la forza dell’evangelizzazione e la condizione stessa della sua possibilità di realizzarsi.

Ci sono strumenti per evangelizzare: convegni, studi, tecniche moderne, ma una sola è l’anima dell’apostolato, lo Spirito Santo! Si tratta di una Persona che è anche l’anima della Chiesa. La regola d’oro è: predicare Cristo (il Vangelo) nello Spirito Santo. Gesù Cristo indica il contenuto della predicazione, lo Spirito Santo è il metodo, il modo con cui si predica.

Senza l’efficacia delle parole la predicazione resta inutile, per questo motivo, prima di predicare, il sacerdote dovrebbe sempre chiedere nella preghiera l’aiuto dello Spirito. Gesù, pieno di Spirito Santo, «insegnava nelle sinagoghe» (Lc 4,14) e la dichiarazione ufficiale della sinagoga di Nazaret ribadisce la stessa realtà: «Lo Spirito del Signore è su di me… e mi ha mandato ad annunciare ai poveri il lieto messaggio» (Lc 4,18). Lo Spirito rende la parola di Gesù parola efficace. Essa realizza cose prodigiose: dal paralitico che si alza, al mare che si calma, dal fico che si secca, ai ciechi che riacquistano la vista.

Lo Spirito dà a Gesù la forza per non abbattersi di fonte all’insuccesso o alla sofferenza, lo fortifica in costanza, magnanimità, fortezza, unzione, sapienza e bontà, tutti doni dello Spirito, compagno inseparabile nello svolgimento della sua missione di evangelizzatore.

Quanto lo Spirito fa in Gesù, si realizza anche nella Chiesa. Pietro con gli undici Apostoli, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, esce dal Cenacolo e predica Gesù risorto ,e lo fa con una tale potenza che gli uditori si sentono trafiggere il cuore, sono convinti del proprio peccato ed esclamano: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?» (At 2,37).

Gesù aveva predetto che lo Spirito Santo avrebbe dato ai suoi una parola “irresistibile” (cfr Lc 21,15; Mt 10,20; Mc 13,11). Infatti, quando Stefano parla di Gesù davanti al sinedrio, gli avversari «non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui parlava» (At 6,10).

Dopo la Pentecoste è toccante veder realizzate le promesse di Gesù: «Quando verrà il Consolatore… mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza» (Gv 15,26).

Pietro potrà esclamare: «Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui» (At 5,32).

L’evangelizzazione si presenta così come il risultato di due testimonianze congiunte tra loro: quella umana e visibile degli apostoli e della Chiesa, e quella invisibile e divina dello Spirito che opera nella Chiesa.

Quest’ultima è invisibile in se stessa,  ma è visibile negli effetti che produce e nei segni che l’accompagnano. San Paolo scrive: «La mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza» (1 Cor 2,4).

Nella seconda lettera ai Corinti si parla di due tipi di manifestazione dello Spirito nell’evangelizzazione: uno è dato da “segni, prodigi e miracoli”, destinati agli ascoltatori affinché credano; l’altro è dato dai “carismi”, destinati all’annunciatore perché sia atto al compito affidatogli. Tra i carismi vi è il dono della parola, il dono di sapienza, di scienza, dell’insegnamento e della profezia. Sono doni per l’utilità comune, dunque sono una manifestazione dello Spirito.

La primitiva comunità cristiana considerava lo Spirito Santo la grande forza motrice della Parola, che la guida fino agli estremi confini della terra e nelle profondità dei cuori. Tra Parola e Spirito esiste lo stesso rapporto che esiste fra la spada e colui che la impugna.

La Parola è una spada a doppio taglio che penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, che scruta i sentimenti e i pensieri del cuore (cfr Eb 4,12). Questa spada è lo strumento di cui si serve lo Spirito Santo per cambiare i cuori. Una Parola senza Spirito è come una spada tagliente lasciata da parte e non brandita. Lo Spirito do forza non solo alla Parola, ma anche all’annunciatore che deve proclamarla. Il salmo 93 dice: «Alzano i fiumi la loro voce». E sant’Ambrogio dice: «Vi sono fiumi che sgorgano dal cuore di colui che è stato dissetato da Cristo e ha ricevuto lo Spirito di Dio. Questi fiumi alzano la voce» (Ep. 2,2).

Compito di noi sacerdoti è quello di riempire il fiume del nostro spirito di acqua fresca, perché sgorgando sui fedeli faccia sentire forte la sua voce, e compito dei fedeli è di prepararsi invocando lo Spirito, affinché la Parola scenda nei loro cuori irrigandoli abbondantemente.

Nella lettera di san Giacomo leggiamo: «Di sua volontà egli ci ha generati con una parola di verità, perché noi fossimo come una primizia delle sue creature. Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio. Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi, che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto il uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (Gc 1,18-25). L’esortazione ad accogliere la Parola di Dio è forte e chiara. È un invito a far scendere la Parola, che già abbiamo ricevuto, a un livello più profondo nel nostro cuore, a interiorizzare la Parola. Questo avviene solo in coloro che di fatto «mettono in pratica la parola, e non soltanto ascoltatori».

Gesù insegna che colui che ascolta senza mettere in pratica è simile a chi costruisce sulla sabbia. Quelli che mettono in pratica la Parola costruiscono sulla roccia (cfr Mt 4,24ss). Il paragone è molto simile a quanto ci insegna Giacomo con l’uomo che osserva il proprio volto sullo specchio. Appena si sposta svanisce l’immagine.

San Giacomo ci raccomanda ed esorta a “fissare lo sguardo sulla Parola”, di “indugiare su di essa”, per diventare realizzatori della Parola, perché è beato solo colui che mette in pratica. Anche qui ci richiama le parole di Gesù: «Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica» (Gv 13,17). «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28).

Affinché questo si verifichi è necessaria una lettura spirituale (cioè fatta con lo Spirito) della Parola di Dio. Lo Spirito Santo, donato a Pentecoste alla Chiesa, conduce a tutta quanta la verità, che è Cristo stesso. La lettura spirituale delle Scritture è lettura in riferimento a Cristo e spiega come tutte le Scritture parlino di Cristo (cfr Gv 5,39). È lettura fatta sotto la guida, o alla luce, dello Spirito Santo che ha ispirato la Scrittura e che ci insegnerà e farà ricordare tutto ciò che Gesù ha detto (cfr Gv 14,25). Lo Spirito non dirà cose nuove rispetto a quello che Gesù ha detto, ma: «Prenderà del mio e ve lo annunzierà» (Gv 16,14). Lo Spirito Santo è incaricato di condurre i discepoli alla pienezza della verità non ancora raggiunta, a scoprire la verità nascosta nelle parole di Gesù. Non esiste altra verità all’infuori della “Verità”, che è Gesù stesso. Sta a noi permettere allo Spirito di realizzare il suo compito di condurre noi stessi alla Verità. Per questo dobbiamo lasciare riprodurre in noi un “movimento dello Spirito” che dia anima alla Parola che ascoltiamo.

Lo Spirito possa soffiare di nuovo nei nostri cuori dando vita alle “ossa inaridite” del nostro materialismo e del nostro esagerato razionalismo. Ci aiuti a leggere quotidianamente, da soli o in comunità, la Parola di vita e ad applicarla con generosità nel nostro quotidiano. Farà di noi tutti “profeti” nella e in sintonia con la Chiesa di Cristo. Ci farà ringraziare Dio Padre: «Perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).

 

GIOVEDÌ SANTO, 1° APRILE 2010

+ Alfonso Badini Confalonieri

Vescovo di Susa

 

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