“L’impegno della Quaresima”, scrive il Vescovo

L’impegno della Quaresima

 

La Prima lettera di san Pietro (1Pt 3,15) insegna ai cristiani, che vivono in una società di duemila anni or sono ma simile alla nostra, di rendere ragione della loro speranza. Anche noi oggi abbiamo il compito di testimoniare l’apporto principale che contraddistingue il cristiano, la speranza che la salvezza dell’umanità è già incominciata. Il cristiano è certo che il Signore è già venuto e che la sua morte e risurrezione costituiscono il fatto decisivo e centrale della storia umana. D’altra parte soffre nel vedere che il male, la violenza, la sopraffazione, l’ingiustizia, la dimenticanza di Dio, continuano a imperare nella società. Un’antica storia ebraica racconta di un maestro a cui i discepoli riferiscono che «alcuni sostengono che il messia è già venuto». Il maestro aprì la finestra, guardò sulla strada, poi si girò e scuotendo la testa disse: «Se il messia fosse venuto il mondo sarebbe diverso!».

Il Vangelo risponde all’affermazione del rabbino con la parabola del seme (Mc 4,26). L’agricoltore dopo la semina attende fiducioso che il seme germogli e cresca, lui stesso non sa come. Ma quando vede i frutti, il suo cuore gioisce perché il Signore ha fatto il suo ennesimo dono. La pazienza riempie l’attesa fra la semina e il compimento, fra la pienezza e il tempo della storia che è ad oggi incompiuta. La grande svolta della storia si è realizzata con la Pasqua di Gesù, ma il suo Regno è nella storia come un seme. Il suo compimento è certo perché opera di Dio, ma quali siano i tempi, non ci è dato di conoscere. Qual è il compito del seguace di Cristo in una società che continua a lacerarsi e in una storia che sembra vanificare la stessa venuta del Salvatore? Avere la fiducia nel seminatore e nella speranza della vita che sboccia, restare uniti al seminatore, impegnandosi a renderlo presente nella cura di quanto seminato.

Un secondo atteggiamento è di denuncia di quanto è male. Ma anche se doveroso, sovente non basta. La denuncia da sola può portare allo scoraggiamento e alla rassegnazione, quella cristiana ha la genialità di coniugare insieme anche la speranza. Il cristiano vive nella presenza di Gesù Cristo, che gli dà forza dall’interno di sé. Una speranza non misurata sulla facilità della meta, ma sulla grandezza del contenuto della propria fede. Il cristiano vede crescere la solidità della propria speranza nel guardare in alto verso Dio o indietro verso la croce di Cristo, non guardando in basso verso gli uomini o verso se stesso. La speranza richiede lo sguardo lungo, che sa aspettare, il coraggio della pazienza, che sa sopportare e che non si lascia piegare da nessuna difficoltà. La vita terrena è un periodo di prova che passa in fretta e il cristiano è certo che Dio non permette che sia provato oltre le proprie forze, ma gli concede la grazia necessaria per superare la prova e far splendere la vittoria dell’amore.

Il cristiano che vive la Pasqua deve anche accogliere il sacrificio che la precede ed offrirlo al Padre come Gesù e con Gesù. La Quaresima, che volge verso il suo termine, vuole da noi il sacrificio del distacco dai nostri peccati e da quanto ci tiene in schiavitù. Abbiamo ancora due settimane per vivere più profondamente l’unione con Dio nella preghiera «meraviglioso dialogo d’amore», nell’ascolto della Parola e nella carità verso chi ha più bisogno di noi. «Se infatti Dio è amore, la carità non deve avere confini, perché la divinità non può essere rinchiusa entro alcun limite» (san Leone Magno, Disc. 10 sulla Quar., 3-5; PL 54, 299-301). Diamo con generosità un poco del nostro tempo quotidiano a Dio e lui ci donerà cento volte tanto.

 

+ Alfonso Badini Confalonieri

da La Valsusa, 30 marzo 2017

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